NUORO. La buona notizia è che il Monte Ortobene gode di ottima salute. Un dato per nulla scontato in tempi di emergenza climatica e ancor di più ora che i nuoresi vivono la loro montagna del cuore come mai avevano fatto in passato, immergendosi numerosi, a piedi o in bicicletta, nei sentieri che lo attraversano tra boschi di lecci e imponenti graniti. «I nostri nonni e bisnonni non lo hanno visto così verde e rigoglioso come lo vediamo noi», dice Renato Brotzu, naturalista, fotografo e micologo, autore con Domenico Ruiu e Matteo Cara del volume “Atlante del Monte Ortobene”, appena pubblicato da Carlo Delfino. Ai primi del Novecento, ha ricordato Brotzu, che ha curato i capitoli sulla vegetazione e sui funghi, la montagna era un’immensa pietraia, resa tale dal taglio degli alberi per la costruzione delle ferrovie o per la legna da ardere e la produzione del carbone, il carico eccessivo di bestiame. Dopo una prima riforestazione negli anni ’30, quando il bosco cominciava a rigenerarsi arrivò il colpo di grazia del grande incendio del 1971. Oggi il bosco si è ricostituito, per via di un’opera di forestazione saggia e non frettolosa che ha privilegiato le specie originarie, come i lecci, rispetto alle conifere imperanti pochi decenni fa. Gli endemismi vegetali abbondano, la fauna si ripopola, alcuni rari rapaci, come l’aquila del Bonelli o il grifone, potrebbero tornare stabilmente dopo aver disertato a lungo queste vette.
Per ogni nuorese che si rispetti l’Ortobene non è semplicemente una montagna, è Il Monte per eccellenza, il luogo del cuore. Lo diceva anche Grazia Deledda, più cent’anni fa: «L’Ortobene è uno solo in tutto il mondo, è l’anima nostra, il nostro carattere, tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e puro e aspro e doloroso in noi». Un paesaggio che non è solo natura, ma una parte integrante della comunità nuorese, insomma, intrecciato con la sua storia, come evidenzia Matteo Cara, geografo e cartografo, che ha coordinato il gruppo di lavoro e ha scritto il capitolo “Inquadramento geografico”, oltre che aver realizzato la cartina in scala 1 a 10000 che accompagna il volume. Dove, per la prima volta, trovano cittadinanza numerosi toponimi esclusi dalle pur dettagliate carte Igm: Sa Preda, Pala de Casteddu, Sa Conca Manna, solo per citarne alcuni. «Il granito delle case di San Pietro, del corso Garibaldi e dei massi scultorei scelti da Nivola per piazza Satta vengono dall’Ortobene – dice Cara – sono la testimonianza di un intreccio continuo tra i nuoresi e la loro montagna».
Per Brotzu e Domenico Ruiu, veterani del naturalismo e del Monte, l’atlante è l’occasione per fare il punto sullo stato dell’Ortobene a trent’anni dal libro che gli dedicarono a quattro mani (e due obbiettivi: sono entrambi valenti fotografi). «I nuoresi devono essere orgogliosi di come lo hanno tutelato», dice Brotzu, che da micologo esperto segnala la presenza di 700 specie di funghi. Domenico Ruiu conosce l’Ortobene come pochi, ne studia la fauna da sempre. Per anni ha documentato con splendide immagini la presenza dell’aquila reale senza mai svelare il punto in cui nidificava. «Oggi lo sanno anche le pietre che è a Jacupiu», commenta. Del resto c’è chi incautamente organizza escursioni ad hoc. Spera in un ritorno dell’aquila del Bonelli e del grifone («se esiste un luogo chiamato punta Gurturios, il nome dell’avvoltoio in nuorese, qualcosa vorrà dire»). Il suo capitolo sui “Toponimi da raccontare” è uno dei più affascinanti, fondamentale se si vuole capire il legame dei nuoresi con il loro Monte. Da non perdere anche le pagine dell’archeologo Demis Murgia sulle testimonianze di vita più antiche: un aspetto tutto da approfondire.
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